L'Espresso
(14
maggio 2014)
Intervista
Il
ministro Stefania Giannini:
«Abolirò i concorsi universitari»
«La riforma Gelmini ha
fatto il suo tempo: bisogna cambiare le cose. Le
singole università devono poter chiamare in totale
autonomia chi vogliono». Ecco il piano della
titolare del dicastero dell'Istruzione
di
Emiliano Fittipaldi
Il ministro dell’Istruzione e
dell’Università Stefania Giannini ha appena terminato il suo
intervento al convegno della Cgil a Rimini. «Li ho quasi sorpassati
a sinistra, e la cosa mi preoccupa», dice sorridendo a “l’Espresso”.
Il segretario di Scelta Civica la riforma Gelmini l’ha ereditata, e
i risultati della nuova abilitazione scientifica nazionale la fanno
ridere assai meno. «Cambierò tutto. Il sistema dell’abilitazione
nazionale va trasformato, e i concorsi locali vanno aboliti tout
court. Ogni università deve poter assumere i docenti che vuole. Chi
assumerà parenti e ricercatori incapaci lo farà a proprio rischio e
pericolo: gli atenei che produrranno poco subiranno ripercussioni
economiche, gli taglieremo i fondi».
Farete un’altra riforma?
«No, ma cambieremo molte cose. I meccanismi di selezione dei nostri
docenti negli ultimi vent’anni sono stati modificati ben quattro
volte. Se le regole del gioco sono state corrette ad ogni lustro, i
risultati sono sempre uguali: proteste, ricorsi al Tar, giudizi
discutibili. Ricordo, però, che l’etica individuale e la correttezza
comportamentale non si possono imporre per decreto: c’è un mondo
universitario, da cui io provengo, che si deve interrogare nel
profondo, in modo da evitare continui scandali e fare reclutamenti
all’altezza».
Sperare che i baroni si autoriformino sembra un’utopia,
ministro. Voi che farete nel concreto?
«Le regole dell’abilitazione nazionale sono troppo complicate, il
marasma normativo ha lasciato spazio all’opacità e declinazione
impropria del sistema. È questo il principale difetto della riforma
Gelmini, bisogna semplificare l’impianto generale. Guarda caso sono
arrivati già mille ricorsi. In futuro, per migliorare la qualità dei
lavori delle commissioni e permettere carriere più rapide, dobbiamo
evitare che le abilitazioni vengano fatte ogni quattro-cinque anni».
Con che cadenza saranno banditi i nuovi concorsi nazionali?
«Vorrei creare commissioni permanenti per le varie discipline. I
blocchi, come si è visto, producono fiumane di candidati e decine di
migliaia di domande, gli esami diventano difficili e poco
controllabili. Alcune commissioni dovevano giudicare oltre mille
persone, 15 mila i libri che ognuno dei cinque membri avrebbe dovuto
leggere in pochi mesi. Un’enormità. In altri Paesi la valutazione
continuativa esiste da decenni: anche in Italia bisogna passare
dalle “tornate concorsuali” a giudizi “a sportello”. Le commissioni,
naturalmente, devono essere innovate dopo un certo periodo. Poi,
dopo aver ottenuto l’abilitazione da parte della comunità
scientifica di riferimento, il candidato potrà essere assunto».
Oggi nei concorso locale i baroni dettano legge. Vincono
quasi sempre i candidati interni.
«Credo che i concorsi locali vadano aboliti per decreto. Sono
convinta che le singole università debbano poter chiamare in totale
autonomia chi vogliono, rispettando ovviamente standard
internazionali. Bisogna che capacità, numero e importanza di
pubblicazioni siano premianti. Spero che riuscirò a fare proposte
concrete prima delle vacanze estive. Finora al governo ci stiamo
muovendo velocemente: abbiamo iniziato le procedure per il concorso
per la scuola 2015. Ci saranno 17 mila nuove assunzioni entro il
2016. Circa la metà saranno giovani, gli altri saranno presi dalle
graduatorie. Ma già l’anno prossimo prenderemo altri 6-7 mila
ragazzi, già idonei perché hanno superato il concorso, molto
selettivo, istituito da mio predecessore Francesco Profumo».
Non c’è il rischio che con un’autonomia assoluta i
dipartimenti assumano, ancor di più, chi vogliono a discapito del
merito?
«Il sistema funzionerà solo se riusciremo a garantire la continuità
e la trasparenza nelle abilitazioni nazionali (la seconda tornata
non verrà modificata, la Giannini intende solo prorogarla fino a
settembre, ndr). E, in secundis, se le università saranno sottoposte
a un meccanismo di valutazione da parte del ministero e dell’Anvur,
l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario. Se
qualcuno decide di assumere al posto di uno scienziato capace un
candidato meno bravo ma raccomandato, l’ateneo sarà duramente
penalizzato sotto il profilo economico. A chi non raggiunge
risultati sul profilo della ricerca e delle pubblicazioni, per dirla
brutalmente, taglierò i soldi. Una cosa che non ha mai fatto mai
nessuno. Gli strumenti normativi già esistono, ma finora non c’è
stata la volontà politica di usarli».
Lei è stata a capo dell’Università degli Stranieri di
Perugia, e la riforma Gelmini è stata applaudita anche dalla
Conferenza dei rettori di cui lei faceva parte. Non usa mai, nelle
interviste, il termine “baroni”. È un caso o non vuole dispiacere i
suoi colleghi?
«Non la uso volutamente. Ma non per paura di urtare la
suscettibilità dei docenti. Semplicemente, io credo che le
università abbiano le loro magagne, ma che la patologia non sia così
diffusa come la descrive la stampa. Esistono casi come quello di
Bari o le inchieste sulla Sapienza, ma la parte sana è ampiamente
maggioritaria. Quello che considero davvero infausta è la mentalità
tribale di molti professori, che spesso si pongono come primo
obiettivo la conservazione e lo sviluppo della propria specie. Ogni
settore scientifico tira acqua al suo mulino, e a volte capita che
il reclutamento ne sia condizionato. Le raccomandazioni esistono, ma
quello che va combattuto è innanzitutto il corporativismo. Bisogna
abbandonare la logica tribale e abbracciarne una industriale».
In che senso?
«I dipartimenti devono lavorare per dare il meglio ai loro studenti,
in modo da competere con altre realtà italiane e straniere. Dal
rettore fino al ricercatore, tutti devono essere responsabilizzati.
Le norme che voglio introdurre faranno sì che sarà molto più
difficile che qualche barone assuma il figlio, la fidanzata o
l’allievo asino. Sarà costretto, dalle leggi di mercato, a chiamare
chi saprà dare lustro al gruppo di ricerca, chi permetterà di
accedere ai finanziamenti. Se riusciremo a compiere questa
rivoluzione, staneremo i professori che non pubblicano da 10 anni,
quelli che cofirmano gli articoli ma non hanno più idee innovative.
Alzeremo muri di vetro in una casa da sempre protetta dal cemento
armato».
|