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IL “SOGNO” AMERICANO

 12 Ottobre 1942. Su un’isoletta dell’Oceano Atlantico, nell’America centrale, l’odissea dell’uomo subisce una svolta decisiva: un ignaro navigatore genovese, sconvolge gli equilibri della terra e rivoluziona il volto della storia.

Da quella ristretta tribù d’indigeni alla grande superpotenza che vanta il primato economico, politico e militare nel mondo. Una forza infallibile, una nazione invincibile, specchio di una realtà quasi troppo perfetta per essere vera.

Così l’ultimo scorcio di una calda estate preannuncia un brusco risveglio: è l’undici settembre del 2001 quando il colosso americano trema sotto gli occhi increduli e attoniti di protagonisti e semplici spettatori.

L’America messa in ginocchio dal sacrificio di alcuni kamikaze addestrati a morire; il crollo delle due torri del World Trade Center ridimensiona il sogno di un’intera nazione.

L’Europa intera si stringe in un corale abbraccio e l’America in un sussulto di indignazione e di feroce orgoglio, sfida la paura e dichiara guerra al fanatismo islamico e al suo indiziato numero uno: Osama Bin Laden.

A sette anni da quel terribile giorno la guerriglia nell’Irak “liberato” continua a mietere ogni giorno migliaia di vittime fra civili e militari e la battaglia contro il fondamentalismo islamico estremista sembra non poter trovare una conclusione. Una simile spirale di violenza e terrore fa sì che la guerra appaia sempre più di frequente come l’unica possibile alternativa.

È solo il prologo di quella che agli occhi di tutti appare come una minaccia infinita e immutabile.

È l’incubo del terrorismo.

I terribili avvenimenti dell’11 Settembre si presentano, sempre di più, come una                  “Apocalisse” nel senso etimologico e cristiano del termine: un “alzare il velo”, una           “rivelazione” del volto oscuro dell’indole umana, della sua volontà e, di conseguenza, del suo operato.

Se è dunque vero quel che afferma l’antica sapienza ebraica che l’uomo nel benessere       “non capisce”, è anche vero che la crisi offre l’occasione propizia per interrogarsi e per instaurare un confronto con delle civiltà che altrimenti apparirebbero remote e inesplicabili. L’impressione, oggi, è comunque quella di una grave difficoltà ad avviare canali di comunicazione, a confrontarsi con realtà diverse ed estranee a certi stereotipi, rischiando, purtroppo, di alimentare la politica della paura, del sospetto e della guerra ad ogni costo.

Mi piace sempre citare le semplici parole di uno dei più autorevoli uomini e presidenti che l’America abbia mai conosciuto, John Fitzgerald Kennedy: “L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità”.

 Samantha Catalioti